Molto spesso accade questo: qualcuno o qualcosa scocca una freccia avvelenata e ci perfora la mente, l’anima e, talvolta, – mediante il processo di somatizzazione che tende a tramutare un dolore psicologico/emotivo in un dolore fisico – persino il corpo.
LA PARABOLA ESEMPLIFICATIVA
C’era una volta un uomo che venne ferito da una freccia avvelenata.
La famiglia e gli amici volevano procurargli un medico, ma il paziente rifiutò dicendo che prima voleva sapere il nome dell’uomo che lo aveva ferito, la casta a cui apparteneva e il suo paese d’origine.
Inoltre voleva anche sapere se l’uomo era alto e forte, se aveva la pelle chiara o scura, se la corda dell’arco incriminato era fatta di bambù, di canapa oppure di seta e se quest’ultimo era di legno d’oleandro.
Chiese, poi, se la piuma della freccia avvelenata apparteneva a un falco, a un avvoltoio o a un pavone.
Chiese ogni tipo di informazione senza lasciar chiamare i soccorsi alle persone che aveva vicino. L’uomo – come naturale che fosse – morì rapidamente e, in tutto ciò, non ebbe nemmeno modo di conoscere le risposte alle sue domande.
A COSA ALLUDE LA PARABOLA DELLA FRECCIA AVVELENATA
Questa breve e semplice storiella esemplifica mediante un’estremizzazione ciò che accade quotidianamente nelle nostre vite.
Spesso non individuiamo il fulcro del problema e lo tralasciamo per concentrarci sul futile. Ci dedichiamo ingenuamente e istintivamente al superficiale anziché prestare attenzione all’essenziale… al necessario.
Così è stato per l’uomo della storia zen che, appunto disinteressatosi del reale problema, ha perso del prezioso tempo e delle preziose energie sconsideratamente.
Ha anteposto l’irrilevanza di un dettaglio alla rilevanza di un dramma, pagando a caro prezzo la sua folle scelta.
Parimenti, noi esseri umani, nella vita di tutti i giorni, diamo troppo peso alle azioni e alle parole altrui (dettagli irrilevanti) anziché focalizzarci sul nostro umore (in tal caso, il dramma consiste nel lasciare che il veleno proveniente dall’esterno proliferi facilmente al nostro interno, producendo così quella rabbia e quel nervosismo che inevitabilmente intaccano con forza il nostro stato d’animo e condizionano le nostre giornate).
In altre parole, pesiamo tutto ciò che proviene dall’esterno ma non quello che viene dall’interno. Non ci sfugge niente in termini di cattiverie, ripicche, inadempienze e negligenze messe in atto da qualcun altro.
Ponderiamo tutto con un’attenzione maniacale e ossessiva. Paradossale è, però, il fatto che non pensiamo alle nostre reazioni, a come ci sentiamo e a come potremmo reagire intelligentemente e proficuamente dinanzi agli urti emotivi causatici dagli altri.
Ci lasciamo rovinare l’umore troppo facilmente.
Preferiamo pareggiare i conti, avvelenare a nostra volta chi ci ha fatto del male anziché guarire il nostro dolore.
Ecco, nell’immaginario l’uomo avvelenato dalla freccia ci ha rimesso, come avete constatato voi stessi leggendo la favola sopracitata.
Lui è morto fisicamente, ma molti di noi muoiono spiritualmente ed emotivamente ogni giorno per via della totale assenza di consapevolezza e autocontrollo.
Ho portato alla vostra conoscenza e argomentato questo racconto con un fine ben preciso: rendervi più consapevoli dei vostri malesseri e meno di ciò che fanno /dicono gli altri.
Ricordatevi che, se volete, potete essere l’antidoto capace di curare ogni veleno inoculato dall’esterno.
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