Moltissime storie ruotano attorno alle figure animali e, qui di seguito, vogliamo farti conoscere due antiche leggende buddiste sui gatti.
Questi felini, in Oriente, ricoprono un ruolo che possiamo tranquillamente definire sacro.
L’IMPORTANZA DEI GATTI NELLA FILOSOFIA BUDDISTA
Per il buddismo, i gatti rappresentano la spiritualità.
Sono esseri illuminati che trasmettono calma e armonia e, per questi motivi, non è difficile scorgerli nelle rappresentazioni del Buddha, magari addormentati ai suoi piedi o accovacciati al suo fianco.
Il popolo orientale crede che i gatti siano come dei piccoli monaci illuminati: avvezzi all’arte meditativa e portatori di vibrazioni positive all’interno di qualsiasi spazio circoscritto.
Lo stesso Sigmund Freud, parecchio tempo fa, aveva affermato le seguenti parole: “Il tempo passato con un gatto non è mai tempo perso.”
Effettivamente, il gatto è un insegnante silenzioso che, se osservato attentamente, può impartirci svariate lezioni:
– fa ciò che deve quando più se la sente, senza avere la necessità di compiacere qualcuno.
Beve quando ha sete, mangia quando ha fame, dorme quando ha sonno, gioca quando ha voglia di divertirsi ed esce quando ha voglia di esplorare;
– non si porta dietro il rancore, l’odio e nessun’altra forma di risentimento o cattiveria;
– vive alla giornata senza iniettarsi inutili dosi di stress, senza farsi rovinare l’umore dai ricordi del passato o dalle paranoie inerenti a un futuro incerto;
– seppur a modo suo, è leale, fedele e affettuoso.
LE DUE LEGGENDE BUDDISTE SUI GATTI
Ecco, qui di seguito, le due leggende buddiste sui gatti e la loro reincarnazione.
1°LEGGENDA
Negli antichi papiri thailandesi, pare vi fosse scritto che l’anima di un essere umano – strappato precocemente e ingiustamente alla vita – fosse incline a reincarnarsi nel corpo di un gatto.
In virtù di tale credenza, le famiglie thailandesi, dinanzi alla perdita di un loro familiare, erano solite seguire una pratica assai curiosa:
seppellivano il defunto in una cripta assieme a un gatto vivo, lasciando a quest’ultimo un varco per poter uscire e tornare in superficie.
Quando ciò avveniva, la famiglia, che attendeva trepidamente “l’evasione” del felino, associava l’evento a una vera e propria reincarnazione del loro caro.
In poche parole, con questo escamotage era possibile trasferire l’anima del defunto nel corpo del gatto – animale compatibile e sensibile alle vibrazioni umane -, così da restare sempre in contatto con quella persona e averla costantemente vicina.
2°LEGGENDA
Altri libri di origine thailandese, scritti da spirituali di alto rango, sostenevano che l’anima dei gatti deceduti si reincarnasse molto più velocemente rispetto a quella dell’essere umano e sempre all’interno di un corpo felino.
Per via della volontà del gatto di rimanere vicino a quella che era stata la sua famiglia – che lo aveva accudito, gli aveva offerto cibo, acqua, una casa e soprattutto l’amore – diversi segnali sarebbero giunti presso la vita di ciascun membro familiare:
un’attrazione particolare verso un gattino appena nato o un randagio trovato per strada, l’incontro ripetuto con lo stesso identico micio, l’impressione di familiarità avvertita osservando un gatto che, per via dei suoi atteggiamenti, ricorda molto il precedente.
Questi segnali verrebbero misteriosamente inviati dal gatto alla sua vecchia famiglia con un fine ben preciso:
essere nuovamente adottato, così da poter vivere ancora insieme e coltivare per altro tempo quell’amore speciale provato reciprocamente.
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