E se ti dicessi che le cicatrici del cuore e dell’anima, metaforicamente parlando, possono essere accostate perfettamente ai cocci rotti degli oggetti in ceramica?
In Occidente questo concetto può suonare alquanto strambo e insensato, ma nella cultura orientale, specie in quella giapponese, esiste una parola che esemplifica meravigliosamente questo concetto.
L’ARTE DEL “KINTSUGI”
Nella vita di tutti i giorni vi sarà sicuramente capitato di rompere accidentalmente qualcosa: una scodella, un piatto, una tazza o magari un vaso.
Di primo acchito, scommetto che il vostro istinto è stato quello di innervosirvi, raccogliere i cocci e, infine, buttarli. Questa successione di azioni, in Oriente, non solo non è messa in pratica, ma neppure concepita.
Lì (in primis in Giappone, dove è nata la pratica, ma ad oggi è diffusa anche in altri Paesi orientali) ricorrono ad un metodo tanto semplice quanto efficace e intriso di significato.
In sostanza, ciò che fanno è unire un collante ad una particolare vernice dorata, di modo da riuscire a tenere insieme i cocci dell’oggetto in ceramica accidentalmente rotto (e dargli così una nuova vita).
L’oro diviene quindi una sorta di pregiato materiale adesivo, si insinua nelle crepe ed evidenzia il difetto anziché nasconderlo.
Così facendo, non solo l’oggetto in questione non finirà vittima del consumismo spietato e sostituito immediatamente con un altro, ma addirittura acquisirà un nuovo valore.
E questo sarà ancor più grande di quello precedente.
LA METAFORA CON L’ESISTENZA UMANA: CADUTE, FERITE, GUARIGIONI E CICATRICI MERAVIGLIOSE
Il Kintsugi è una metafora applicabile alla vita umana, un’arte straordinaria capace non solo di guarire le ferite dell’anima, ma addirittura di dar risalto alle cicatrici che ci portiamo addosso.
Il fine di tale pratica è quello di valorizzare l’imperfezione. L’oggetto, dopo il trattamento di mani sapienti, acquista nuova forza e trae vantaggio dall’evento apparentemente negativo.
Il Kintsugi mira proprio a ricomporre ed abbellire ciò che si è rotto, dagli oggetti in ceramica ai nostri spiriti, rendendoli unici e speciali. Dunque, è un processo che mira a un duplice obiettivo:
1.Ridare vigore e bellezza alle lesioni, fisiche o emotive che siano.
La ricomposizione, in questo caso, rappresenta il mezzo per raggiungere la fase successiva, ovvero quella dell’innalzamento della propria condizione.
2.Tenta di suggerirci tacitamente che le esperienze più dolorose sono quelle più utili al rafforzamento dell’anima.
Se comprese ed accettate, infatti, ci valorizzano fino a renderci unici, un po’ come l’oro che unisce i cocci rotti dell’oggetto frantumato.
LA BELLEZZA DELL’IMPERFEZIONE: CONTEMPLARE LE CICATRICI PER ACCETTARE CIÒ CHE SARÀ
Contemplare l’imperfezione è il primo passo verso la guarigione.
Ci aiuta durante il processo di accettazione dell’inevitabile, una peculiarità intrinseca dell’esistenza che sancisce l’inizio e la fine di ogni cosa: dalla vita di un oggetto a quella dell’uomo e dei suoi sentimenti.
La certezza non esiste, se non per la nascita e la morte, in tutte le loro accezioni possibili ed immaginabili.
Le vicissitudini che ogni individuo è tenuto a sopportare, seppur spesso gli risultino indigeste, sono necessarie per fargli apprendere fino in fondo l’importanza e la profondità della sua stessa esistenza.
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